Ero adolescente ,da poco avevo compiuto 10 anni ,era il 1949,e per la prima volta fui affascinato dal sorriso bonario di un personaggio carismatico della Venezia. "Bimbo, sei figliolo di Sandrina e Riottina vero?" Un po' impacciato e intimidito da quella possente figura, “Certo, sono Gigi”. Questo incontro avvenne sul Ponte di Marmo in via Borra,dove in quel momento abitavo.Quell'uomo semplice nei modi, che emanava una serenità e una generosità disarmante, era Dino Lorenzini,chiamato “Cammello”. Un veneziano doc, un uomo dalla generosità senza eguali, unita ad una irrefrenabile voglia di agire, un volto sempre caratterizzato da un sorriso e una risata aperta, scaturiti da un un ottimismo congenito verso la vita, Dino Lorenzini era davvero un uomo speciale. E' questo il ricordo che i veneziani e non solo loro, hanno di Cammello, soprannome ereditato da suo padre, un portuale vecchia maniera, forte e laborioso come pochi. Dino si era appena sposato con la sua Liliana, una Pedani, antica famiglia veneziana, quando venne richiamato alle armi, costretto a lasciare sola la giovane sposa, incinta di Dina, la primogenita che non vide nascere. Prima della catastrofe seguita all'armistizio, il giovane soldato ritorna a casa e non lasciò più la sua famigliola che lentamente si accrebbe con Rossano, Enio e Angiolo, poi detto “Nino”. Dino era portuale e si distinse subito per la sua preparazione professionale e una dedizione alla Compagnia che sin dall'avvento di Vasco Iacoponi lo vide salire ai vertici. La sua generosità, il desiderio di aiutare chi si trovava in difficoltà, una onestà a tutta prova gli ottennero immediatamente la fiducia del console e degli altri dirigenti che vollero affidargli il settore dei contatti con l'ospedale e i medici per i problemi di salute che si presentavano ai portuali e alle loro famiglie, ma non solo, perchè Dino Lorenzini, la Compagnia aveva sempre dimostrato pieno accordo, il consigliere imparò a conoscere e a farsi apprezzare dai maggiori nomi della medicina e della chirurgia nazionale, con conoscenze preziose anche in prestigiose cliniche estere. Fu grazie al suo intervento, alla sua capacità di convinzione e alla stima che riscuoteva dai colleghi di consiglio,che gli permisero di aprire una linea di credito per fornire all'ospedale, e quindi anche ai livornesi che vi si ricoveravano, televisori, apparecchi diagnostici,e, una serie di interventi fortemente positivi. Dino Lorenzini non si impegnava soltanto per i portuali e per le loro famiglie, ma anche i livornesi che si trovavano in situazioni assai difficili, gli si rivolgevano ed egli risolveva il caso, spesso inviando livornesi bisognosi in cliniche estere a spese della Compagnia. Il suo campo d'azione non si limitava soltanto a questa attività , ma iscritto al PCI, egli manteneva i contatti con scrutatori e rappresentanti di lista, intessendo quei rapporti capaci di non far fallire un colpo al partito nei periodi elettorali. Grande attaccamento al Venezia, Cammello fu un sostenitore della cantina rossobianca, tutte le trasformazioni lo videro in prima fila, prima con Pecchio, poi con Riottina, alias Gigi Suardi, ma il suo impegno si allarga anche al ritorno in vita del Palio Marinaro e fu tra quegli uomini che tanto fecero e tanto baccagliarono per realizzare la prima edizione del nuovo Palio Marinaro della Rinascita e avviarlo verso la stabilità . Il suo impegno non venne mai meno, Otellino che lo conosceva sin da quando era un bambino, nella Venezia anteguerra, abitava nelle baracche della Fortezza Nuova e ricordava le numerose incursioni che Dino effettuava portando agli ultimi della terra pacchi di generi alimentari. La sua permanenza nel Consiglio della Compagnia Lavoratori Portuali non venne mai messa in discussione e Dino “Cammello” Lorenzini era ancora in carica quando scomparve lasciando un ricordo indimenticabile ai livornesi e ai suoi veneziani. (Articolo di Luigi Suardi e Otello Chelli)
Aver conosciuto Vivaldi Canzio ”Pecchio” nel pieno della maturità fisica e intellettiva, è come essere stato nei pressi di un vulcano in piena attività sismica. Ed io Gigi Suardi dagli anni 70 agli anni 90, sono stato accanto ad un “vulcano”. Vulcano di idee, vulcano di come attuarle, vulcano di operatività organizzativa, indirizzata ad ampliare il piccolo “villaggio sportivo” nei pressi della Tura. Dove i ragazzi del quartiere dovevano trascorrere il loro tempo libero, in ricreazione e in agonismo. Pecchio riuscì insieme ai soliti veneziani ”Nedo Suardi, Cesarino Gallinari, Ivo Baldi, Mauro Brucioni, Rolando Trocar, Gino Suardi, Dilvio Cecchi, Mauro Vivaldi, Nandino Rotella, e altri, a dare vita al progetto. Non so se era una sua idea, o la voglia innata di creare sempre qualcosa di nuovo. ”Facciamo e poi chiediamo il permesso, altrimenti non facciamo niente”, era solito dire. Era una sua filosofia di vita, e diventò anche la “nostra”.
Mio padre “riottina “, chiamava Pecchio con il nomignolo di “oro”, il perché di quel nomignolo derivava dal fatto che, ”entri a Marittima, in porto e ciò che tocchi è oro”, cioè si guadagnava.
Pecchio era quest’uomo, voglia di fare e una innata eleganza. Amava vestirsi con abiti ben cuciti e di color blue o bianchi, con accessori dai colori abbinati, e quando si cambiava per le occasioni importanti “Pecchio e sei gavinoso”, tanto elegante era la sua figura. A parte ciò, Pecchio aveva una simpatia particolare nei miei riguardi ”Gigi non mollare, altrimenti qui va tutto a rotoli, usa l’intelligenza che Riottina e Sandrina ti hanno dato”, La Tura, il Venezia, il Gozzo devono Continuare.
Canzio Vivaldi com'era come atleta?
Canzio Vivaldi, conosciuto nell'ambito remiero come "Pecchio", “Oro” o anche, il Doge di Venezia. Canzio, nacque nel 1922 nell'antico rione circondato dalla rete dei fossi medicei e, più esattamente, nell’antico “Isolotto” della Tura, laddove oggi ha sede la Cantina rossobianca. Il suo amore per il mare, e per la voga, si manifestò precocemente e non c'è da meravigliarsene visto che sia il padre Virgilio, detto Naro, che lo zio Primo, detto Pilade, erano risicatori. Lo zio faceva parte dell'equipaggio che nel 1926, quando il piccolo Canzio aveva solo 4 anni, vinse con l'Avvalorati (insieme a lui vogavano, fra gli altri anche Angiolino Ferri, Fabio e Otello Baccigalupo e Alberto Cellai, tutti risicatori) il primo Palio. Spronato anche dall'esempio di Renato Barbieri, detto Attao cugino per parte di padre, e di Mario Balleri, detto Ballero, zio da parte di madre, entrambi colonne dei celebri equipaggi degli Scarronzoni, inizia a gareggiare a soli sedici anni, con le canoe dell'Unione Canottieri Livornesi. Quel ragazzo forte e serio piace agli allenatori così. nel 1941, quando Oreste Grossi viene chiamato sotto le armi, lo inseriscono nell'equipaggio degli Scarronzoni che deve disputare prima le gare internazionali di Berlino, Francoforte e Budapest e poi i campionati nazionali juniores a Verbania. Con lui in barca ci sono il timoniere Cesarino Milani, Ottorino Quaglierini, Dino Cecchi, i fratelli Marino e Pescino Pescia di Rosignano Solvay, Enzo Bartolini, Bruno Persico detto il Moro e Alberto Bonciani. I livornesi vincono tutto quel che c'è da vincere compreso il dodicesimo titolo italiano. La Guerra distrugge la sua città e con essa il suo amato rione, ma non appena il conflitto ha termine Canzio Vivaldi risale sull'otto degli Scarronzoni, ma l'avventura si chiude nel 1948, quando in vista delle Olimpiadi viene formato un armo con Ottorino Quaglierini capovoga, Dino Cecchi, C. Cosimi, Pescino Pesci, Mario Magherini,, Cecchetti, Bruno Persico e Canzio Vivaldi. Il timoniere è sempre Cesarino Milani. L'equipaggio è però costretto, ai campionati d'Italia che si svolgono a Milano, a dare forfait a causa dell'indisposizione di due vogatori. Per Pecchio è il ritiro dalla scena internazionale, anche se continuerà a vogare nell'otto dei Canottieri Livornesi. Nel 1951 si dedica con entusiasmo alla ricostruzione del Palio Marinaro cancellato dalla guerra. Riesce a riportare in vita la competizione grazie anche all'impegno di uomini come Dino Lorenzini, detto Cammello, Argante Fraddani, Bruno Tani detto Musata, il barbiere Carbonel, Vinicio Chiocchi. Con la ripresa del Palio Marinaro Pecchio riprende a vogare nell'armo Venezia, il rione dov’è nato e laddove batte il suo grande cuore. Per tre anni, dal 1951 al 1953, Canzio porta alla vittoria i colori biancorossi conquistando la medaglia d'oro del trittico e il primo “Cencio” della storia che si può ancora ammirare nei locali della cantina, mentre la medaglia è gelosamente conservata dalla figlia Marina. Nessun altro equipaggio, nel dopoguerra, è infatti riuscito a emulare l'impresa biancorossa di tre vittorie consecutive. Nel 1955, a causa di alcune divergenze, decide di salire sul gozzo del Borgo Cappuccini. Glielo avevano chiesto insistentemente Arturo Mannucchi e Cesare Liperini. Ma è un esperimento che non dura più di una settimana perchè il suo cuore continua ad essere interamente veneziano. Così ritorna in forza alla sua cantina dove resta fino agli anni ' 60. Nel frattempo inizia ad allenare nell'Unione Canottieri Livornesi e poi nel Circolo ricreativo Portuali. Il Venezia continua a impreziosire il suo palmares grazie all’opera di Canzio Vivaldi e la sua presenza nella cantina rossobianca è preziosa anche per la formazione di molti equipaggi vincenti. Canzio riceve un grande onore dalla Federazione Italiana Canottaggio che, consapevole delle qualità di questo veneziano che unisce la serietà ad esperienza di livello superiore, lo chiama per inviarlo a Montreal quale rtappresentante italiano nella commissione chiamata a giudicare le condizioni del campo di regata, in occasione delle Olimpiadi del 1976. Sempre per la, Cecchetti, Bruno Persico e Canzio Vivaldi. Il timoniere è sempre Cesarino Milani. L'equipaggio è però costretto, ai campionati d'Italia che si svolgono a Milano, a dare forfait a causa dell'indisposizione di due vogatori. Sempre per laFederazione si reca nella Repubblicas Popolare Tedesca per studiare i sistemi di preparazione degli atleti di qul paese che primeggia anche nel canottaggio. Nella sua città si impegna nella preparazione del campo di regata del Palio Marinaro, ma non abbandona mai il suo Venezia. Amico, diremmo “complice” di Luigi “Gigi” Suardi nel far trionfare il glorioso gozzo rossobianco, negli ultimi tempi della sua vita, sedeva fuori dalla cantina e i suoi occhi sognanti osservavano il fosso reale del suo amato rione e chi scrive, suo amico da quando lo aveva conosciuto nelle veglie serali che si svolgevano in Venezia e che ci parlava fermandosi accanto a lui, pensava commosso alle immagini che dovevano scorrere nella mente di quell’uomo amato da tutti. Pecchio se ne andò silenziosamente, il 24 Agosto del 2000, Aveva 78 anni, ma il ricordo rimarrà per sempre nel cuore di tutti coloro che lo hanno conosciuto, il ricordo di un uomo straordinario diventato il simbolo del mondo remiero livornese di ieri e di oggi, alfiere delle vittorie che il suo Venezia ha conquistato, quale protagonista indiscusso del Palio Marinaro, della Coppa Barontini e della Coppa Risi’atori.
Commenti di Otello Chelli e Luigi Suardi.