Anche se il Rione Venezia è cambiato si può sempre capire quella che è stata la vita di questa gente nei tempi passati, da quello che rimane delle sue rovine e Chiese, e per quanto non si possa più vedere questa gente operante e ne sentire come allora il suo rumoroso e colorito linguaggio, vi si respira sempre un aria d’altri tempi, che li consente di mantenere quel fascino che l’hanno reso famoso. Nel 700 era il quartiere mercantile per eccellenza, residenza dei consoli delle Nazioni e dei grandi negozianti Internazionali, le cui capienti cantine a volta aperte sulle vie d’acqua, traboccava di merci di ogni provenienza in attesa di essere imballate e rispedite via mare per le più diverse destinazioni. I palazzi lungo i canali di proprietà di questi Signori erano dotati di alte Torrette che consentivano di osservare i segnali delle navi in arrivo, i ponti che si specchiavano sull’acqua dei canali e gli scorci più suggestivi caratterizzati dalla imponente costruzione ottagonale della Chiesa dei Domenicani o dalla Mole delle due Fortezze la Vecchia e la Nuova. Questi palazzi sorretti da una fondazione di tipo misto “ pali e muratura “ possedevano al suo interno una chiostra che in epoche più infelici diviene deposito dei liquami. Composti da più piani, possedevano un fondaco posto a livello del fosso dotato da una cubatura più che sufficiente a soddisfare le crescenti esigenze del mercato e da un piano terra che si apriva sulla strada superiore, mentre il primo piano era destinato a ospitare abitazioni dei padroni, con porte e finestre architravate, spesso però la facciata veniva arricchita da un modesto terrazzo balaustrato, infine all’ultimo piano le stanze destinate alla servitù. Nasce così l’edificio tipico della Venezia Nuova, costruito da manovalanze venete e straniere, la cui tipologia, sulla quale influisce l’esperienza acquisita nelle Fiandre da Giovannii Francesco Cantagallina, resta un episodio tipico del luogo. Un esempio è il palazzo sullo Scali Rosciano, oggi sede dell’Autorità Portuale, che fu fatto costruire nel 1669 da Giuseppe Rosciano, un mercante Ligure, che fra i primi ebbe l’idea di erigere un palazzo che pur presentando tutti i caratteri e l’eleganza di una residenza aristocratica aveva sulla strada prospiciente al canale dei Navicelli ampi fondi a volta per immagazzinare le merci. Con questa nuova fase di costruzione del quartiere nasce il problema di come collegarlo al resto della città, e per questo lo stesso Cantagallina e il progettista Annibale Cecchi trovarono una soluzione al problema, creando un raccordo fatto di strade disposte ortogonalmente al Canale dei Navicelli, in modo da congiungere la Venezia Nuova con Piazza Grande. Ancora oggi, nonostante i vuoti causati dai bombardamenti della seconda guerra mondiale occupati da condomini degli anni 50, il quartiere mantiene il suo fascino e percorrendolo si ritrovano le scenografie e gli scorci che lo resero famoso, sicuramente questo Rione può essere considerato l’anima e il cuore di una Livorno che, fortunatamente, fatica a scomparire. Il quartiere raggiunse il suo massimo splendore dopo che Cosimo III concesse l’insediamento di alcuni ordini Religiosi, dei Trinitari e dei Domenicani, che con l’aiuto delle rispettive case madri e di importanti committenti costruirono bellissime chiese con importanti arredi e statue e stucchi di gusto Barocco, come la Chiesa di San Ferdinando Re e quella a pianta centrale dei Domenicani. Inoltre furono costruiti due grandi complessi per accogliere ed educare i giovani, nel Luogo Pio furono recluse le fanciulle per insegnare loro il ricamo ed il cucito mentre al Refugio furono rinchiusi i giovani vagabondi per essere trasformati in marinari.
Nell’ottocento a causa delle trasformazioni del sistema portuale dovuto alla navigazione a vapore e allo sviluppo della città borghese al di la del fosso circondario, il quartiere Venezia fu abbandonato dai ricchi mercanti e divenne il quartiere abitato dalla carovana degli scaricatori veneziani, che avevano l’esclusiva per la manipolazione del pesce salato, stoccafisso e baccalà. Purtroppo il degrado dei canali, non più accuratamente ripuliti, inizia a farsi sentire, causando diverse crisi di epidemia colerica che si cercò di arginare con l’operazione di sventramento e la copertura nel 1889 dell’antico Canale dei Navicelli creando il Viale Caprera. Per molto tempo il quartiere mantenne un carattere popolare e colorito e i suoi abitanti rivendicano ancora oggi un grande senso della solidarietà ed una fiera identità di appartenenza al loro quartiere!! (articolo di Tiziana Savi)
Da ricordare anche la presenza in passato di due importanti teatri all'interno del quaritere della Venezia: il Teatro San Marco e il Teatro degli Avvalorati.
Il teatro S. Marco venne costruito nel 1806 dall' architetto Salvatore Piccioli e da Gasparo Pampaloni per conto di Luigi Gragnani e fu solennemente inaugurato tre anni dopo, il 27 aprile. Nel frattempo ne era divenuta padrona l'Accademia dei Floridi che invitò allo spettacolo inaugurale la regina di Etruria Maria Luisa che da due giorni si trovava a Livorno. Maria Luisa volle dare al teatro il nome del figlio Carlo Ludovico. Qualche anno dopo, nel 1848, col nome e stemma della prima, si formò la nuova Accademia che acquistò il teatro. Nel 1883 il teatro fu di nuovo venduto a privati. Luigi Ademollo dipinse sul soffitto la reggia del sole e nel sipario il trionfo di Cesare dopo la vittoria sul re Farnace, nell'esterno dei palchetti (136 riccamente adornati e distribuiti in cinque ordini) ventiquattro episodi dell'Iliade. Nel 1852, l'Accademia affidò all'architetto Cappellini il restauro del teatro; fu tolta la “piccionaia” e, al suo posto, fu posta una balaustrata dipinta dai fratelli Medici i quali aggiunsero sui trofei del Tasca, ornati che coi primi mal si intonavano. L'edificio fu completamente distrutto durante la guerra ed i preziosi dipinti dell'Ademollo purtroppo andarono persi. Sui ruderi, dove sono rimaste intatte sei colonne ioniche per cinque archi, è posta una lapide che ricorda la nascita del Partito Comunista Italiano nel 1921.
Il Teatro degli Avvalorati. Col trascorrere degli anni lo sviluppo della città e la sua crescita demografica avevano reso insufficiente lo spazio e la struttura dello "Stanzone", nonostante gli ampliamenti e le modifiche apportate nel tempo. Nel 1782 viene così inaugurato, con "l'Adriano in Siria" del Metastasio, musica di Luigi Cherubini, un nuovo teatro eretto nelle vicinanze della chiesa degli Armeni (da quì il nome "dagli Armeni"). Il teatro viene acquistato nel 1790 dall'Accademia letteraria degli Avvalorati, di cui esso adotterà il nome e lo stemma. Distrutto dai bombardamenti del 1944, al suo posto sorge oggi un largo viale che ne ricorda il nome.